24/10/11

Il direttore



Il direttore mi comunica che l'artista non mi vuole nel suo prossimo lavoro in tv. Vuole "una musicista" bella e appariscente con un viso sorridente. Secondo il direttore, l'artista non considera il valore che possa avere la mia partecipazione professionale, sbagliando anche nel non accorgersi che chiunque fosse un centro di attenzione televisiva, nel suo show, lo infastidirebbe. L'artista argomenta che essendo io straniero, cosa vera, non conosco la musica italiana.

L'artista ha ragione! Non può sapere di un valore che nessuno gli ha trasmesso. In ogni caso, chi ha una platea che lo applaude non sente il bisogno di giustificare le sue scelte. Come orchestrale, il contato con l'artista è molto superficiale. Lui non mi conosce ma il direttore sì: se io gli sono utile, sarebbe logico che lui mi rappresentasse, con le sue ragioni. Sarebbe onesto che dimostrasse dove l'artista canta sulle note scritte da me. Sarebbe umile che mi presentasse come artefice di un’estenuante edizione su una voce dell'artista registrata in studio, diventata motivo di merito personale per il direttore.Sarebbe leale se il direttore avesse consegnato a lui (l'artista) lo spartito di un pezzo classico scritto da me e dedicato alla sua piccola bambina, sapendo del mio progetto musicale ispirato ai bimbi appena nati. Così facendo l'artista avrebbe modo di valutare e contrapporre dei dati basati sui fatti e giudicare la mia disponibilità nei suoi confronti.
Il direttore potrebbe concludere che le mie prestazioni professionali non gli sono utili o che non hanno le qualità necessarie, ma questo implicherebbe ammettere un calo di valore per tante cose che portano la sua firma, dal momento che tanto abbiamo fatto insieme. Potrebbe, per finire, dirmi che non ha bisogno di me per questo lavoro e questo sarebbe lecito, anche perché ci si aspetta che sia lui a decidere cosa e chi è musicalmente necessario.
Lui preferisce dare la responsabilità ad altri, preferisce discolparsi con la colpa altrui piuttosto che con la propria innocenza. (male comune a tanti)

Conscio che ogni fatto è sempre meno interessante del racconto che se ne fa, dico: Io sono un uomo di 50 anni e anche in sovrappeso. Non posso competere con la bellezza giovanile. Ma sono un professionista con esperienza e capacità comprovata da tanti, musicalmente più autorevoli. Sono uno che ha studiato e trascritto pezzi di "veri" musicisti italiani come Verdi, Castelnuovo, Berio e Luigi Nono. So benissimo che il lavoro che dev’essere compiuto non è in un contesto erudito, ma non si può attribuirmi un’ignoranza che non ho. "Se nel mio lavoro, o Arte severa, trascorro quieto e discreto tanto tempo mentre altri si occupano di divertirsi o apparire, non è per il pane, nemmeno per nei palchi pavoneggiare scambiando incanti, ma per il semplice salario pago, per il segreto cuore di questi"(D.Thomas).  Voglio essere e sono sempre stato degno di quanto costo, che riconosco non è poco.

Il direttore, che conosco da 20 anni, dovrebbe sapere come sono strutturato e cercare di non giustificare quello che accade addossando le "colpe" su scelte di produttore e artista. Anche perché lui si dice contrario a queste scelte. Sarebbe corretto, invece, dirmi che non è capace di far valere l’importanza che posso avere per il suo lavoro. Ma per farsi valere, deve esporsi. Esporre anche le sue debolezze come sentirsi preso in giro a causa di sua amicizia con un Brasiliano e le possibili connotazioni sessuali (cretinate). Un’amicizia, tutto sommato, di complicità per il divertimento, effimera, senza nessun legame profondo da parte sua. Da parte mia, l'affetto rimane sempre ma la stima si è esaurita.

La reciprocità è una qualità di base per ogni rapporto. Ho sempre difeso il direttore. Ho difeso le sue scelte musicali, e non il suo modo di essere, davanti a tutti i collaboratori nel suo ambiente di lavoro. E se qualcuno, per qualche motivo ha cercato di offenderlo o diminuire le sue qualità, in sua assenza, io l’ho azzittito perché il meschino è da escludere con rigore. Ho fatto questo non perché sono buono ma perché sono uomo e sono leale. Mi accorgo che da lui non ho avuto un comportamento reciproco.

A lui manca il coraggio, manca il carattere per essere chiamato da me, "maestro".


Silvio D'Amico