09/12/11

La Lega e il suo discorso


Sentendo i protagonisti della Lega, adesso nell’opposizione, rifletto:

La coesione di un discorso può essere interna o esterna. Nel primo caso, le parti sono unite una all'altra da un vincolo logico. Nel secondo, da un riferimento a fatti o cose riconoscibili. Le due forme di coesione possono venire articolate, quando la coerenza interna del discorso cerca di rispecchiare un gruppo di relazione oggettive.

Ma esiste anche un’altra possibilità: il discorso non è coerente con sé stesso, non riflette adeguatamente una realtà, ma continua a esercitare un effetto persuasivo come se compisse perfettamente i due modi di coesione. Questo succede quando, sotto l'apparente difesa d’idee, il discorso esprime solamente il sentimento d’identità del gruppo sociale al quale è indirizzato. Come se le idee, i fatti, non interessassero per come sono, ma solamente come simboli evocatori di reazioni emotive. Tutto quello che il discorso ha bisogno per essere accettato come veridico e coerente, senza essere né una cosa né l’altra, è l’uso di simboli giusti, capace di svegliare automaticamente le risposte istintive desiderate. Evidentemente questi simboli devono essere di uso generale e corrente al pubblico, devono essere luoghi comuni, frasi fatte e dei “clichês”

Un linguaggio di “clichês” può essere usato deliberatamente, con Arte e Tecnica, da un demagogo o propagandista abile, dominatore dei mezzi di manipolazione emotive. Ma può succedere che, usata in extremis, questo linguaggio usurpi il posto di altre forme di discorsi, diventando il linguaggio generale e spontaneo, il modo di pensare di un gruppo e di tutta una collettività. In questo caso, l’intenzione di manipolare diventa praticamente innocente. Quello che era demagogia si trasforma in un’innocenza perversa dove non si può ingannare gli altri se non s’inganna prima sé stesso. La menzogna svanisce e diventa un fingere isterico nel quale la falsità assoluta dei pretesti dichiarati contrasta pateticamente con l’intensità dei sentimenti dimostrati. Il processo culmina in uno stato di completa alienazione, in un’ignoranza radicale delle condizioni oggettive della vita.



Silvio D’Amico